DAPHNE
con Carlotta Bruni, Rosa Merlino, Luca Piomponi
drammaturgia e coreografia Aurelio Gatti / Rosa Melino
produzione MDA Produzioni Danza

Il mito di Apollo e Dafne è la storia di un amore mai realizzato., ma anche di un paradosso: proprio il dio protettore delle arti mediche non riesce a trovare un farmaco per la ferita infertagli da Eros; proprio il nume che conosce presente, passato e futuro, lascia che la sua mente onniveggente sia offuscata dalla tenace passione per la bellissima Dafne, figlia del fiume Peneo e di Gea.
Apollo, nel vederla, se ne innamora, ma la fanciulla, nel vedere il dio, fugge ed egli la invoca …

«Ninfa penea, férmati, ti prego: non t’insegue un nemico;
férmati! Così davanti al lupo l’agnella, al leone la cerva,
all’aquila le colombe fuggono in un turbinio d’ali,
così tutte davanti al nemico; ma io t’inseguo per amore!
Ahimè, che tu non cada distesa, che i rovi non ti graffino
le gambe indifese, ch’io non sia causa del tuo male!

Quando ormai sta per essere ghermita, Dafne, esausta, rivolge una preghiera al padre (o alla madre), affinché la sua forma, causa di tanto tormento, sia tramutata in qualcos’altro. In pochi istanti la giovinetta si irrigidisce, i piedi divengono radici, le braccia rami, il corpo si ricopre di una ruvida scorza: si sta trasformando in un albero di alloro . Apollo la raggiunge, ma è troppo tardi; riesce appena a rubarle un bacio, prima che anche la sua bocca sia ricoperta dalla corteccia.
Questo il mito, narrato da Ovidio nelle Metamorfosi.

Viene naturale prendere le parti di Dafne, che fugge da un accanito e possessivo spasimante, forse intento a soddisfare la sua passione senza tener conto della volontà dell’amata, eppure merita una attenzione la sofferenza di Apollo, il dolore di chi ama senza essere ricambiato….. Il dio potrebbe avere tutte le fanciulle che vuole, ma desidera Dafne, non per un capriccio, ma perché è stato ferito dalla freccia d’amore di Eros. … Non si sceglie di amare e chi amare.
Perchè innamorarsi di una creatura che susciterà di certo dolore e rifiuto? Apollo, che può conoscere il futuro, avrebbe potuto prevedere le tragiche conseguenze della sua passione eppure, insegue Dafne. Egli è il dio dell’ordine e del raziocinio, eppure compie atti irrazionali per amore. La ragione viene sconvolta per colui o colei che si desidera ardentemente. L’amore, suscita un sentimento di totalità e interezza, trasfonde nell’idea di armonia, idealizza la vita futura accanto alla persona amata a tal punto da idealizzare l’altro : il rifiuto è quasi un omicidio; è come se la persona amata, respingendo, uccidesse l’immagine ideale che di lei ci si è costruiti ….
Il rifiuto è ingiusto. Saffo , nella celebre ode ad Afrodite, invoca la dea perché ristabilisca gli equilibri e faccia rispettare la legge cosmica dell’amore, secondo la quale chi è amato ha il dovere di ricambiare con altrettanto amore. Il rifiuto costituisce un atto di ingiustizia (adikia).
Nella realtà, però, non c’è alcuna legge che obblighi ad amare.
Se Dafne è una vittima, Apollo non va certo giustificato, ma compatito.
Il grande sgomento è che una corsa straordinaria, rocambolesca, meravigliosa viene interrotta – per sempre . Se non importano le ragioni e i disegni di Apollo, ugualmente vale per quelle del rifiuto di Dafne. La corsa di Dafne si è fermata nella preghiera di metamorfosi, di sottrazione della forma , ma anche di sviluppo e dinamica …. e la ninfa che correva ora è solo tronco immobile.
Una danza per un mito che, malgrado gli usi e gli abusi funzionali alle diverse mode o epoche, ripropone – integro e autentico il mistero dell’eros: due interpreti per Dafne – Carlotta Bruni e Rosa Merlino, un Apollo – il giovane Luca Piomponi … eppoi una corsa infinita.

ELENA / SIMULACRO E IMPOSTURA

tratto e ispirato da Euripide, Stesicoro,Goethe
ideazione e drammaturgia Aurelio Gatti
con Raffaele Gangale Carlo Greca Luna Marongiu
cooproduzione AlterAzioni – Circuito Danza Lazio

Il crescente rapporto tra realtà e finzione nel mondo d’oggi, o meglio la straordinaria capacità della finzione di diventare realtà, emerge con forza dalla produzione artistica del nuovo secolo.
Da una società in cui le finzioni sorgevano dal mutamento fantasioso del reale, si è passati a una società in cui è la realtà ad alimentarsi della finzione.

«Le finzioni del giorno d’oggi sono dunque più ambigue che ambivalenti: esse non sono né menzogne né creazioni. Proprio per questo temibili, non si distinguono radicalmente né dalla verità né dalla realtà, ma intendono sostituirvisi» (Augé )

E quindi… Elena rovina delle navi, dei guerrieri e delle città, o vittima di Eros e Logos?
Elena tessitrice d’inganni o Elena bambina?
I molteplici volti di Elena attraverso le voci delle fonti antiche e le parole di chi l’ha accusata e difesa. In un avvicendamento di toni e figure contrastanti, la figura di Elena si svela mostrando i molti volti della sua seduzione, la sua multiforme bellezza. Una, due, tre, molte Elene, colpevoli o vittime, innocenti o infami per colpa o per destino.

Con Elena si pone la questione dell’immagine che costituisce di fatto – in questo caso – il doppio di una esistenza, autonoma dalla sua matrice, identità altra .
Elena dunque accetta la scomposizione di sé stessa in corpo e nome : sa di avere un simulacro concesso in vece sua al figlio di Priamo, condizione che la porterà talvolta a identificarsi con il simulacro stesso che perdurerà il tempo necessario per adempiere quanto stabilito dal destino .
Ci si può chiedere quale delle due sia la Elena autentica: Elena nel corpo fisico o il suo simulacro vivente e quali siano le conseguenze della prima e della seconda nella vita degli uomini…
Si potrebbe intuire infine che esistono tre Elena : Elena in persona , ossia nel suo corpo fisico– che ha trovato riparo in Egitto, il suo nome – invocato e maledetto tanto dai Greci quanto dai Troiani e una terza – il suo eterico simulacro, altra, autonoma e in grado di alimentare la realtà .
Elena non si trova in un gioco di specchi, ma in una condizione che va oltre l’immaginario perché costretta a incidere sulla realtà/vita di molti : Elena è immersa – suo malgrado, nella tragedia di una trinità, ormai , estranea e contraria in ogni sua parte.

DIMMI, TIRESIA
di e regia Luisa Stagni
coreografia Luca Piomponi
con Lucrezia Serafini, Luca Piomponi e Luisa Stagni
coproduzione Festival Teatro Romano Volterra- Progetto Città
con il sostegno di Opera Decima

Il vecchio Tiresia ci narra dei miti dai quali nasce il suo bizzarro, tragico destino; di quando fu donna e di quando fu uomo, e dell’incontro con gli dei e dell’eterna, ingiusta, punizione: sette generazioni da viver sulla terra e la Veggenza a lui concessa dagli dei, è un grande peso, una insostenibile condizione umana, un conflitto reso eterno. Destino e punizione: vedere e sapere ciò che accadrà e non desiderarlo; Lui, il cieco, non può evitare di “vedere” l’umano destino.
Quel sapere sconforta e opprime il suo impotente essere.

Il suo dire, le sue parole prendono corpo, come fiammelle danzanti, evocate dal suo narrare, esse son coro, son donna e giovane uomo, son desiderio e son il kronos destinato a fermarsi. Sono passato e futuro, son madre e figlio, son voce del refrattario veggente, alter ego ribelle.

Tiresia attraversa numerosi stati, passa da un piano di conoscenza a un’altro.: la notte scende sui suoi occhi perché folgorati da una visione insopportabile, in cui oltrepassa il limite rigidamente fissato per l’essere umano … Le sue capacità profetiche non sono una compensazione per la perdita subita , ma il superamento di una conoscenza empirica a favore di un “modo altro” di sapere le cose e di comprendere la realtà, conoscere lo spazio-tempo.

Una grande suggestione per una ricerca sull’elaborazione cognitiva dello spazio. Infatti, in assenza della vista, i due sistemi percettivi, udito e tatto, prendono in carico la conoscenza dello spazio, utilizzando strategie differenti, perchè udito e tatto dipendono dalla successione sequenziale, mentre la visione ha il dominio della simultaneità . Ricerca possibile anche grazie al contributo di Luisa Stagni, drammaturga e interprete non vedente.

RUJNI
musica e libretto e con Carlo Muratori
coreografia Rosa Merlino
con tre danzatori e un musicista
coproduzione Contemporaneo Sensibile – Estreusa

“Le macerie accumulate dalla storia recente e le rovine nate dal passato non si assomigliano.
Vi è un grande scarto fra il tempo storico della distruzione, che rivela la follia della storia (le vie di Kabul o di Beirut), e il tempo puro, il tempo in rovina, le rovine del tempo che ha perduto la storia o che la storia ha perduto” Marc Augé

La ricerca di Luigi Lombardo in “Catastrofi e storie di popolo” hanno portato a “risentire” i cunti del dolore e riproporre le “antiche storie cantate di cataclismi e disastri naturali in Sicilia”… stessa violenza, sismica e non solo, oggi in altre terre, e tante altre violenze per inimmaginabili guerre ed esodi, perpetuano il senso del dramma vissuto e lo dilatano nel tempo.
Un progetto nato grazie alla collaborazione e alla passione di Carlo Muratori: al centro c’è la Voce, quella sua, forte e fluida, che grida, attraverso l’immutabilità di quel dolore, l’ira di oggi. Ma lo spazio, lo scenario, il tempo è danza.
Il persistere del ricordo della tragedia nella tradizione orale , anche se le catastrofi sono naturali o di natura socio-economica, hanno sempre influenzato canti e “storie” del popolo. Quelle siciliane non si limitano ad essere testimonianza di quanto profondi siano stati i mutamenti apportati dal terremoto ai luoghi, ma alludono e quanto grave sia la perdita della loro riconoscibilità.
Le immagini che in questi giorni ci vengono proposte continuamente da tv e web ci raccontano di altri terremoti, di altre ferite, di dolore e paura delle popolazioni coinvolte. Immagini di distruzione, ammassi di rovine indistinte a fare da sfondo alle facce sconvolte di quella gente.

Quannu la gran putenza Iddiu si smovi
e fa trimari la mala natura
se un ditu di sua manu sulu movi
trema la terra, lu celu si scura.

… L’Apocalisse in lingua siciliana; metricamente perfetta, mette paura!
La musica è già parte di quei versi; mentre li leggevo cantavano da soli; si trattava solo di liberarla dalle pieghe del tempo. Le parole ardono come tizzoni e il fuoco della terra urla il suo ingrato compito .… Carlo Muratori

Il tempo della rujna va oltre la constatazione delle epoche e del tempo, delle città e dei paesaggi… una sorta di monito e di invocazione alla vita . Forse perchè le rovine riescono ad uscire dal gioco folle del mondo contemporaneo, a sottrarsi alla spettacolarizzazione, sfuggono al “tempo reale”, alla “diretta”, e risvegliano la “coscienza della mancanza” . Quella stessa coscienza che induce gli artisti, a ricercare, costruire e ri-costruire, inventare e provare – in ogni momento – il tempo “nuovo”.

ZEUS ed HERA (Titolo provvisorio)
danza di una ilarotragedia
di Sebastiano Tringali da Ovidio, Euripide
regia Maccagnano-Gatti
coreografia Merlino-Gatti
con Carlotta Bruni, Luna Marongiu, Rosa Merlino, Cinzia Maccagnano, Luca Piomponi, Sebastiano Tringali e quattro danzatori
sostegno e collaborazione Parco Archeologico di Selinunte

Il mito della controversia fra Zeus e la sposa Hera sul primato del piacere tra uomo e donna ( Ovidio, III libro metamorfosi), è l’occasione e l’ambito per affrontare il tema della diversità dei generi, l’emancipazione degli stessi e soprattutto il confronto di due visioni distanti eppure coincidenti, del futuro.
Un giorno Zeus ed Era si trovarono divisi da una controversia: chi potesse provare in amore più piacere: l’uomo o la donna. Non riuscendo a giungere a una conclusione, poiché Zeus sosteneva che fosse la donna mentre Era sosteneva che fosse l’uomo, decisero di chiamare in causa Tiresia, considerato l’unico che avrebbe potuto risolvere la disputa essendo stato sia uomo sia donna. Interpellato dagli dei, rispose che il piacere si compone di dieci parti: l’uomo ne prova solo una e la donna nove, quindi una donna prova un piacere nove volte più grande di quello di un uomo. La dea Era, infuriata perché Tiresia aveva svelato un tale segreto, lo fece diventare cieco, ma Zeus, per ricompensarlo del danno subito, gli diede la facoltà di prevedere il futuro e il dono di vivere per sette generazioni: gli dei greci, infatti, non possono cancellare ciò che hanno fatto o deciso altri dei.

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